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Recensioni

Frammenti è l'opera prima della compagnia 'Vocinterne', il cui nome risuona di alcuni significati, tra cui "interno" (fa pensare al buio), ma anche "lanterne", in grado di alludere alla luce: forse la chiamata del teatro può essere una luce, che attrae come un magnete pensieri oscuri, ma la cui illuminazione può far sorgere un linguaggio teatrale che non avanza per linearità narrative, ma per deliberata frammentazione, nell'intento di recuperare la verità del proprio inconscio.

"A volte mi sveglio la mattina e mi chiedo come cominciare la mia giornata. Ti sei mai chiesto se quello che fai è davvero quello che vuoi?". La domanda percorrerà l'intero flusso del tempo scenico, tra lo slancio in avanti e l'indugiare indietro, al tempo dell'infanzia. In mezzo, nell'aria tra i due estremi, ci si domanda se sposarsi è veramente quello che si vuole.

Un uomo e una donna sono in parti separate della scena, danno libera espressione ai propri pensieri, ma l'angoscia che sale tritura la propria sorgiva coscienza, mentre ognuno è assorto nella toilette per un appuntamento che cambierà la propria vita. I rispettivi monologhi, in realtà sono flussi di pensieri che procedono quasi per libere associazioni, collegandosi a sprazzi al discorso dell'altro, seppur lontano, seppure non possa essere udito, in un misterioso tam tam di domande e risposte.

"Facevo una cosa e l'ho mollata per un'altra. Forse mi è servito a capire chi sono." dice lei davanti allo specchio. Sì, ma di chi è l'immagine spaventata riflessa? E' l'immagine di un'adulta responsabile di sé, o di una bambina spaventata riflessa? Ora si tratta di scegliere, non per la vita forse, ma per una promessa che è per la vita, e fare una promessa cosi solenne, fa paura.

"Vorrei andare su un isola deserta al mare con te, difendermi dalla natura, costruire una capanna..." immagina lui, cercando disperatamente di sostituire il sogno di una vita irreale alla realtà di una donna. Piuttosto che vivere insieme, trovarsi magari a negoziare la posizione dei mobili, lo spazio per le rispettive cose da portare, il pensiero va a come sarebbe bello cessare il corpo a corpo con l'altro, trasferire armi e bagagli sul versante di un paesaggio selvaggio, e vivere giorno per giorno, senza fare progetti, in cui l'unico progetto è sopravvivere in una magica comunione ancestrale con la natura.

Ricomincia il flusso di pensieri spezzati: "Lei vuole un bambino" dice lui; "Sempre la stessa storia" pensa lei. Poi continua: "Mi piacerebbe avere un maschio e una femmina. A te non piacerebbe avere dei figli?". Ancora ricordi: "Da piccola mi piaceva imbottirmi il seno e aspettavo che qualcuno arrivasse." Si pensava che la vita fosse "a modo mio", si scopre invece che è un dolore compromesso tra il mondo proprio e quello dell'altro. Una soluzione sarebbe quella di fermare i pensieri che si introducono a forza nella propria mente, come fastidiosi pappagalli: "Troppi pappagalli...Soluzione? Eliminarli tutti. No. Ne arriverebbero altri."

La donna si chiede: "Perché nessuno riesce a fare l'amore con me come voglio io?". Ancora: "Mi affeziono ad una parte di me, poi ne vivo un'altra, e un'altra, e non faccio mai in tempo a conoscermi." Diventare uomo, diventare donna, forse vuol dire portare addosso come un fardello, o un vestito da cerimonia, qualcosa che è estraneo a se stesso, eppure è indubitabilmente nostro. Non c'è niente che àncori ad un'identità che appaghi, perché una volta raggiunta, subito ci si sente soffocare, e l'angoscia torna a mediare il nostro rapporto con il mondo e con gli altri.

Frammenti è un'opera sul tempo dell'angoscia, un tempo che va a strappi. Il soggetto è sollecitato dalla spinta sociale ad andare avanti, ma sente il timore di essersi troppo esposto, tanto da indulgere alle dolci cantilene dell'infanzia. Soren Kierkegaard nel saggio "Il concetto dell'angoscia", scriveva che l'angoscia non sorge nell'uomo privato della propria libertà. Al contrario, questa si manifesta quando la vita si confronta con un panorama di infinite possibilità, la scelta di una delle quali implica la perdita immaginaria di tutte le altre (suonare il piano, fuggire su un'isola deserta, non poter più trovare qualcuno che faccia all'amore come si vorrebbe). E' una scelta, quella dell'altro, di cui il soggetto non può avere alcuna garanzia, se non dandosela da sé stesso. L'immagine dei giovani presi nella promessa, con il volto smarrito alla fine di una lunga e penosa preparazione (sembra quasi alludere alla vestizione di un cavaliere di una battaglia), aggrappati ai vestiti da cerimonia che sentono di portare come ad una parata carnevalesca, è l'emblema della solitudine, che l'altro - per quanto ami - non potrà mai lacerare.

L'operazione drammaturgica di Frammenti è il tentativo di penetrare l'extrasimbolo dell'angoscia, che nella scena prende le sembianze del matrimonio. La domanda è : dovrei essere felice, perché non lo sono? Non c'è altro modo drammaturgico che fare letteralmente a pezzi i significati consolatori e solenni del matrimonio, per visitare il loro retro. Per aggirare l'indicibilità, illuminarne il buio, l'autrice frammenta, pone il linguaggio al contagio di un dubbio sempre interrogativo. Il testo che sorge è un percorso a ostacoli, in cui l'attore si dà all'handicap del linguaggio: balbetta, domanda, inciampa. urla. Ciò che emerge alla fonazione può essere grido disperato, o parola mancante, quella che potrebbe alleviare, essere balsamo di un'angoscia insopprimibile, ma che non arriva.

La realtà è che l'umano - dice Lacan- sorge come grido perduto nella notte. La vita si umanizza quando qualcuno risponde a quel grido, quando cioè quel grido viene trasformato in domanda. Frammenti è il tentativo di trasformare un grido di angoscia in domanda, facendone teatro, e attraverso il teatro fare da padre e madre ai personaggi e al pubblico, come un bambino che di notte si sveglia, urla, piango, si dispera. I genitori non possono sapere esattamente cos'abbia, ma provano comunque a mettere in parola quel grido (Cos'hai? Hai fame? Hai freddo? Hai paura?), sospendendolo all'Altro come interlocutore ( la capacità di risposta congrua della madre), ma anche all'Altro del linguaggio, a cui dovrà essere addestrato, non solo per dire del proprio mondo interno, ma anche per sopportarne l'inevitabile scarto, e che creerà mancanza nella illusoria solidità del soggetto.

'Il Grido' di Michelangelo Antonioni mi risuona nella mente, scrivendo queste poche righe. Non tutto è senso, come al contrario pensa il paranoico, disposto a tradurre tutto in segno. Lì dove il senso cede all'angoscia, non può stare che il grido, quello dei rispettivi personaggi in scena, alle prese con qualcosa più grande di loro. Frammenti è il più "antonioniano" dei soggetti teatrali proposti, forse l'equilibrio più riuscito tra il coraggio ed un esito scenico alla sua altezza, comprese le ingenuità. La domanda dell'autrice è ad una parola che ogni volta fallisce, mentre quella dell'altro non c'è, perché chiusa dentro un corpo che ha solo il grido del bambino per manifestarsi. Il Teatro può dare una risposta quando l'Altro manca? Il Teatro può essere l'Altro per noi, uomini e donne presi in un'enigma senza risposta? Sì, a patto che abbia la pietas necessaria, e il timido coraggio di questi giovani autori. 

a cura di Vincenzo Carboni, PersInSala Teatro

I FRAMMENTI DI INCOMUNICABILITA' DI GIULIA CACCIAMANI

Uno spettacolo che "vuole raccontare la realtà frammentaria di ogni individuo e contemparaneamente l'incomunicabilità che si sta diffondendo nella società moderna." Ed è effettivamente quello che ottiene Frammenti di Giulia Cacciamani. Un dialogo a distanza, o meglio un monologo a due voci, analisi dell'incapacità contemporanea di ascoltare e comprendere il prossimo. E forse anche sé stessi. Due i protagonisti, Christina Fusco e Francesco Meloni, su un palco allestito con pochi elementi essenziali; due i colori che dominano la scena, il bianco e il nero: lo yin e lo yang dell'inquietudine moderna. Se da una parte c'è la rassegnazione ad un destino di solitudine, dall'altra assistiamo alla folle euforia di chi cerca invano di sfuggirvi.

L'Atto Unico, in scena la Teatro Hamlet il 10 e l'11 Settembre in qualità di Vincitore della Terza Edizione del "Concorso Drammaturgica: percorsi dal testo alla scena", è un costante tentativo di intraprendere una conversazione; domande futili si alternano a dilemmi esistenziali senza mai ottenere una risposta nell'uno e nell'altro caso. I due protagonisti senza nome, la cui individualità ha valore universale, si accavallano lasciando alla sensazione di un'affinità emotiva solo il tempo di un respiro. Il proposito criptico del testo, forse, talvolta trascende nell'incomprensibilità per il pubblico, pur salvaguardando il phatos della condanna all'incomunicabilità che certamente raggiunge gli spettatori.

Ma non è solamente l'isolamento cui ci costringe la società il punto centrale di Frammenti. Un altro spunto di riflessione della piece è la frantumazione dell'individuo stesso. Assistiamo ad un'alternanza sincopata tra sussurri, musica e urla liberatorie che in realtà diventano quasi una continuità, tale da poter correre il rischio di trasformarsi in un'abitudine per il pubblico.

Tuttavia, la considerazione dell'autrice alla base del lavoro è: "Quante volte vi siete ritrovati a parlare con voi stessi? Mentre cucinate,  mentre vi vestite, mentre vi truccate o mentre vi fate la barba? Quante volte vi siete sentiti non capiti, non ascoltati, ignorati, soli?". L'analisi fa complessivamente centro nell'adattamento scenico e non ci si può esimere dal congratularsi con l'autrice e regista di Frammenti che nella sua opera prima ha avuto il coraggio di cimentarsi in un testo introspettivo. Pertanto, plaudite!

a cura di Letizia Del Pizzo, Linea Diretta 24 

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